Diffamazione a mezzo social network: condanna al risarcimento dei danni morali subiti

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DIFFAMAZIONE A MEZZO SOCIAL NETWORK: CONDANNA AL RISARCIMENTO DEI DANNI MORALI SUBITI

Con l'utilizzo dei social network si assiste sempre più spesso a episodi di diffamazione che recano alla vittima sofferenze morali tali da incidere negativamente sulla sua sfera relazionale e professionale.

Sul punto, è intervenuto di recente il Tribunale di Vicenza con la sentenza n. 1673/2020 che, chiamato a decidere sulla domanda di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo social network proposta da un agente di Polizia Locale, ha chiarito come utilizzare la rete per arrecare offese integra una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di soggetti ampliando e aggravando l'offesa con la capacità diffusiva del mezzo utilizzato.

La vicenda in esame ha origine dalla presentazione di denuncia-querela dell'attore nei confronti del convenuto il quale, a seguito della contravvenzione per infrazione al codice stradale elevata alla compagna in quanto utilizzava il cellulare mentre era alla guida, pubblicava sulla propria pagina personale la foto del verbale di accertamento ricevuto dalla convivente commentando con espressioni offensive la reputazione personale e professionale degli agenti scelti nonché del corpo di appartenenza, quindi con l'aggravante di aver utilizzato il social network e di aver recato offesa ad un corpo amministrativo.

L'attore, dunque, procedeva in sede civile per il risarcimento danni morali subiti, ottenendo l'accoglimento della domanda.
Infatti, il giudice di merito ha rilevato che con l'utilizzo di internet la comunicazione è volutamente rivolta al maggior numero di persone possibile, determinando in tal modo la circolazione del messaggio tra un numero non specificato di soggetti.

Anzi, la predisposizione del post non è stata attività occasionale o accidentale, bensì è stata volontaria e consapevole.
Ne è dimostrazione il fatto che il commento infamante è stato espresso con un post pubblico accessibile a chiunque potesse arrivare alla piattaforma, nonché il fatto che il post non sia stato rimosso dalla pagina del convenuto, identificandosi, quindi, una simile condotta come diffamazione aggravata.
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