Verbale di accertamento per superamento limite velocità: nullità della sentenza per omessa lettura del dispositivo in udienza

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VERBALE DI ACCERTAMENTO PER SUPERAMENTO DEI LIMITI DI VELOCITA': NULLITA' DELLA SENTENZA PER OMESSA LETTURA DEL DISPOSITIVO IN UDIENZA

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21257/2020, accogliendo il ricorso proposto da  un trasgressore delle norme del Codice della Strada contro l'Ente comunale avverso la decisione del giudice di appello che aveva rigettato l'opposizione avente ad oggetto il verbale di accertamento elevato dalla Polizia Municipale per il superamento dei limiti di velocità, ha espresso il principio secondo cui “nelle controversie soggette al rito del lavoro, l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 2, la nullità insanabile della sentenza, per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto, in quanto si traduce nel difetto di un requisito correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio che connotano tale rito e soprattutto di immutabilità della decisione.”.
Nello specifico, gli Ermellini hanno ritenuto fondato il motivo con cui si deduceva la nullità della sentenza per violazione dell'art. 429 c.p.c. e dell'art. 7, comma 1, D. Lgs. n. 150/11, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto il tribunale non avrebbe letto il dispositivo in udienza ma erroneamente trattenuto la causa in decisione, concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
I giudici di legittimità, infatti, dopo aver evidenziato che il giudizio sottoposto al loro esame è iniziato dopo l'entrata in vigore (in data 6 ottobre 2011) del D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, hanno chiarito che “L'art. 6, comma 1 stabilisce che "le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 (opposizione ad ordinanza-ingiunzione), sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo".”
Proprio l'art. 2 del medesimo decreto legislativo dispone, al comma 1, che nelle controversie regolate dal rito del lavoro non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, gli artt. 413, 415 c.p.c., comma 7, 417, 417-bis, 420-bis, 421, comma 3, 425, 426, 427, 429, comma 3, 431, commi 1, 2, 3, 4 e 6, 433, 438, comma 2, e art. 439 c.p.c..
Il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili, in mancanza appunto della previsione in contrario, le altre disposizioni per le controversie in materia di lavoro dettate dal codice di rito, tra le quali, appunto quelle di cui all'art. 429, comma 1, e art. 437, comma 1, che - rispettivamente per il giudizio di primo grado e per quello d'appello  - dispongono che il giudice pronunci sentenza dando lettura del dispositivo nell'udienza di discussione.
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